Non disponiamo di sofisticati strumenti econometrici e di data base
per avventurarci a fare simulazioni e
previsioni in merito al contesto nel quale si
troveranno ad operare le imprese nel corso
del prossimo anno. Quello di cui disponiamo è rappresentato invece dal confronto
continuo con le aziende e le organizzazioni
nostre clienti, per le quali stiamo progettando e realizzando interventi, da quanto
raccogliamo in termini di richieste e di
esperienze. Rispetto all’anno passato lo
spirito, anche per effetto dell’ulteriore peggioramento e delle tensioni del contesto
geopolitico, non è sicuramente positivo. Al
di là delle comprensibili preoccupazioni legate ai vari indici ed ai mercati, si stanno
delineando con chiarezza i temi e le aree
nelle quali le aziende si troveranno esposte
ed impegnate. Ci riferiamo alle aziende che
hanno mostrato e mostrano una maggiore
reattività e resilienza, che preferiscono anticipare gli eventi anziché subirli. Esiste
una crescente domanda relativa la riduzione dei tempi della messa a terra della
strategia aziendale. Da più parti si lamenta
come sia sempre più difficile gestire la variabile tempo. Non che sia stata soppiantata
la distinzione universalmente accettata di
classificare il tempo con le categorie Avanti
Cristo e Dopo Cristo ma certamente oggi si
ricorre spesso ad utilizzare la distinzione
fra prima del Covid e dopo il Covid. La
pandemia ha finito per assurgere a spartiacque fra due ere alquanto diverse. Prima
del Covid i processi di gestione del cambiamento erano riconducibili alla revisione
di sistemi ERP, al ridisegno di processi per
effetto di riposizionamenti del mercato imposti dalla globalizzazione, a tal punto che
era stato coniato l’acronimo VUCA (Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity) per caratterizzare il periodo. Dopo il
Covid lo sviluppo rapido ed esponenziale
delle nuove tecnologie digitali e delle relative applicazioni sta imponendo un ritmo
incalzante, riducendo i tempi di definizione
e di realizzazione della strategia, esigendo
risposte rapide alle richieste del mercato. È
arrivata la terza ondata preconizzata da
Alvin Toffler nel lontano 1950. Quella che
sembrava allora una classica stranezza di
un futurologo è diventata la realtà nella
quale si muovono le imprese. La variabile
tempo si è drammaticamente ridotta ed
oggi viviamo nella fase dell’istantaneità.
Naturale che venga a più riprese posto il
tema dell’Execution, di come poter ridurre
i tempi per coagulare consenso, disporre
di adeguate competenze, rivedere i processi, impostare nuove forme di organizzazione
più flessibili. Processi non semplici, da affrontare, in base alla nostra esperienza, con
una metodologia adeguata, in grado di assicurare risultati concreti. Non solo ma la
progressiva adozione di soluzioni digitali
metterà sempre più in evidenza il drammatico gap di competenze. Da tempo le
aziende lamentano crescenti difficoltà nel
reperire i profili mentre continua ed incessante è l’emorragia di giovani talenti verso
l’estero. Secondo una recente previsione,
elaborata dall’Organisation for Economic
Cooperation and Development, nei prossimi 15 anni, mentre il 14% delle attuali
posizioni di lavoro (che richiedono una
professionalità medio-bassa) verrà eliminato, il 34% sarà a rischio perché i titolari
di queste posizioni o accetteranno di affrontare seri programmi di reskilling o si
troveranno poi marginalizzati costituendo
un problema per l’azienda e per la società.
Di fronte a questo scenario, ignorato da chi
continua a portare avanti politiche previdenziali di breve termine per meri interessi
elettoralistici, le aziende, anziché ricorrere
a meccanismi di prepensionamento, dovranno farsi carico, in mancanza di alternative, di radicali ed adeguati programmi
di formazione per adeguare la forza lavoro
esistente. Anziché limitarsi a parlare di capitale umano gli imprenditori ed i manager
saranno chiamati ad investire davvero nel
capitale umano, un asset peraltro che a differenza degli altri asset può non deprezzarsi
se solo si ha il coraggio di investire. Le risorse non mancano se solo si pensa che i
fondi professionali paritetici, alimentati dai
contributi delle aziende, hanno importanti
risorse e lanciano puntualmente avvisi ad
hoc, senza dimenticare le agevolazioni e le
iniziative a livello delle singole regioni.
Non a caso l’UE ha proclamato il 2023
l’Anno europeo delle competenze ma su
questa iniziativa c’è stato un silenzio assordante e non è stata colta invece l’occasione per comunicare, sensibilizzare,
promuovere. Nel corso degli ultimi anni le
imprese hanno fatto notevoli investimenti
nel campo della robotica giungendo a far sì
che l’Italia si piazzasse al sesto posto a livello mondiale, mentre per alcuni settori,
per es. quello alimentare, si è piazzata addirittura al terzo posto. Ma adesso si sta
creando una situazione paradossale perché
questi investimenti per entrare a regime
hanno bisogno di professionalità specifiche
che, se non reperibili sul mercato per i motivi sopramenzionati, vanno create all’interno. Un impegno che comporta un
cambio di paradigma nella gestione delle
risorse dal momento che comporta
un’azione di convincimento delle persone,
per farle uscire dalla comfort zone, per farle
partecipe di questa nuova fase e dell’opportunità di vedere rilanciata e valorizzata
(anche in termini retributivi!) la propria
professionalità. Gli stessi manager dovranno sviluppare nuovi approcci, accettare
e gestire (anziché subire!) l’hybrid work facendone uno strumento per aumentare non
solo il livello di engagement delle risorse
ma anche l’attrattività delle aziende. La formazione permanente, la trasformazione
delle aziende in learning organization rappresentano soluzioni obbligate per far
fronte ad una vera e propria emergenza nazionale. Sì perché la posta in gioco non è
solo il mantenimento del ruolo dell’Italia
come secondo paese manifatturiero ma la
competitività del paese e della stessa UE a
fronte della sfida lanciata sia dagli US che
dalla Cina. Purtroppo non se ne parla abbastanza per sensibilizzare l’opinione pubblica, per sollecitare adeguate riforme del
sistema scolastico, per impostare una seria
politica industriale che incentivi gli investimenti e non i sussidi. La ricchezza, come
insegnava L.Einaudi, va costruita prima
di distribuirla. La stessa adozione degli
ESG, anziché rappresentare una minaccia,
come spesso viene percepita, soprattutto
nelle imprese meno strutturate, può diventare un’opportunità per consolidare il proprio vantaggio competitivo.