Leading change
di Antonio Angioni
Azzardato, certo, fare previsioni oggi sulle conseguenze della pandemia su imprese, business e organizzazione del lavoro. Ma alcuni segnali ed elementi iniziano a delinearsi, su questi possiamo e dobbiamo iniziare a riflettere
Saranno necessari anni per comprendere l’impatto e decodificare le conseguenze che la pandemia avrà avuto sulle imprese, sui modelli di business, sull’organizzazione del lavoro. Mancano termini di paragone ravvicinati nel tempo, senza dimenticare come spesso questi tentativi si rivelino, dopo adeguati approfondimenti, piuttosto azzardati. Valga come esempio l’ostinato accostamento avanzato da alcuni, sebbene non confortato da elementi oggettivi, fra la crisi del 2008 e quella degli anni Trenta del secolo scorso. Anche se non siamo ancora usciti dall’emergenza sanitaria (ed economica!), si cominciano però a delineare alcuni elementi che meritano una riflessione. Ben lungi dal voler azzardare scenari, desideriamo solo richiamare l’attenzione su alcuni aspetti gestionali che notiamo e sui quali abbiamo iniziato a confrontarci con le aziende clienti. Durante il periodo pandemico la funzione HR ha costituito un punto di riferimento non solo per far fronte ai molteplici, inusitati, aspetti organizzativi ma anche per garantire un ancoraggio ai valori aziendali, sostenere il morale e sviluppare la resilienza, tentare di mantenere il social capital messo a rischio dalla dematerializzazione delle relazioni e dal massiccio ricorso al WFH (work from home), acronimo sicuramente più appropriato dello smart working, visto che, nella maggioranza dei casi, nessuno ha avuto in questo anno la libertà di scegliere quando, dove e come lavorare, elementi essenziali appunto dello smart working, ma ha subito una soluzione imposta dagli eventi.
Adesso che si incomincia ad intravvedere l’uscita dal tunnel, oltre alla rivisitazione delle normali aree di presidio, la prima sfida per la funzione HR sarà quella di ricostituire il social capital che, secondo i dati che emergono dalla recentissima edizione del Work Trend Index promosso da Microsoft, con il coinvolgimento di 30.000 persone in 31 paesi, risulta essere stato seriamente compromesso. Isolamento, sylos syndrome, diminuzione della produttività e dell’innovazione, crescenti difficoltà da parte delle generazioni più giovani (i nativi digitali), con minore anzianità aziendale, a mantenere un adeguato livello di engagement: questi risultati confermano come non sia sufficiente predisporre l’infrastruttura per il WFH ma sia necessario elaborare una strategia complessiva. Di questi problemi chi si occupa di HR deve farsi carico e deve farsi portavoce visto che in molte aziende si sta affrontando proprio in questo periodo un processo di ripensamento del business model.
Non si tratta solo di studiare come rivitalizzare e dare vigore a team e ad organizzazioni esauste ma di partecipare attivamente al processo di revisione in corso. Ai ricorrenti interrogativi quali Who are we? How do we operate? How do we grow ci permettiamo di aggiungere With whom do we operate? Vista l’endemica scarsità di risorse e di talenti, conseguenza non solo del calo demografico ma, ammettiamolo, anche di politiche gestionali improntate allo shorterm (al primo stormir di fronde la voce che saltava nelle revisioni di budget aziendali pre-covid era quella relativa la formazione!) si impone la necessità di poter disporre di risorse preparate ad affrontare il contesto post-covid. Secondo Saadia Zahidi, Managing Director del World Economic Forum, nei prossimi dieci anni ci sarà bisogno di un drastico reskilling e upskilling delle persone visto che almeno un terzo dei job sarà modificato dalla tecnologia. Già perché nonostante il Covid la tecnologia ha continuato a svilupparsi e ad avanzare, fornendo applicazioni nuove e soluzioni sempre più sofisticate. Più che un rassicurante ed autoreferenziale slogan, diventare una lifelong learning organization diventa oggi una priorità da realizzare. Non a caso nella recentissima edizione del 2021 Global sentiment survey and development, il reskilling e l’upskilling sono stati considerati come la priorità per le aziende in quella che viene delineata come la fase del next normal.
Non solo ma, oltre a preparare le risorse per affrontare l’accelerazione della digitization e della globotica un’altra sfida impegnativa per i responsabili HR sarà quella delle 3 R: Reinvent, Reimagine, Rethink. I modelli organizzativi sinora adottati si stanno rivelando inadatti perché più che l’uniformità, il controllo, l’architettura dei flussi, le aziende hanno bisogno di minore burocrazia, di regole più semplici, di strutture più agili, di creatività, di velocità nell’esecuzione della strategia e di inclusione. Questo implica non solo rivedere la struttura, ridurre i livelli, rendere veloce, con un adeguato livello di delega, il processo decisionale ma anche, e soprattutto, costruire una cultura di riferimento che supporti e sia generativa di nuovi stili di leadership. Rispetto al passato gestire un cambiamento di queste dimensioni potrebbe essere più semplice perché la business disruption che ci ha investito è stata di una tale magnitudo da ridurre i meccanismi di difesa inerziale (traducibile nel motto: “abbiamo sempre fatto così”) e ci ha reso più disponibili a reagire e a sperimentare.
Ma per gestire con successo l’alignement dell’organizzazione sarà importante comunicare, coinvolgere, proprio per ridurre il gap fra strategy e execution. Potrà sembrare una contraddizione in termini ma dobbiamo cambiare il modo con cui cambiamo, interrogandoci quotidianamente se stiamo cambiando alla stessa velocità con la quale cambia il mondo nel quale operiamo e coinvolgendo il resto dell’azienda in questa riflessione.
Last but not least si rende necessario aggiornare e rivedere il competency framework per sviluppare competenze e comportamenti per attirare, trattenere e sviluppare i talenti che concorrano a costituire il vantaggio competitivo dell’azienda. Riesce difficile riconoscere una conseguenza positiva della pandemia che ci ha afflitto in questo anno se solo si tengono presenti gli altissimi costi umani ed economici, ma indubbiamente, dagli elementi e dalle esperienze che stiamo verificando nelle aziende, ci sembra di poter dire che si stia riconoscendo l’importanza di un mindset human centric. In questo contesto, quanti hanno la responsabilità dell’HR hanno l’occasione di essere percepiti come internal service provider in quanto chiamati ad assicurare il ROI dell’investimento sull’human capital e a garantire un impegno tangibile e duraturo. Lavorare duro per qualcosa in cui non crediamo genera solo stress, lavorare duro invece per qualcosa in cui crediamo genera passione.
26 maggio 2021 – Direzione del Personale