A proposito di peccati capitali..

Pubblicazione: 9 ottobre 2018 10:00
Argomento: Articoli
La lettura di un recente , brillante saggio di Carlo Cottarelli ‘I sette peccati capitali dell’Economia Italiana’ , che consiglio vivamente per avere una visione razionale e disincantata delle nostre criticità, mi ha portato a concludere che la lista non sia completa ma che a quelle che l’autore definisce essere le ragioni ‘ per cui nel nostro paese la crisi sembra non finire mai’ si debbano aggiungere anche una distorta valutazione del percepito rispetto alla realtà e l’endemico orientamento al breve periodo. Stiamo vivendo una fase storica di grandi trasformazioni che hanno un impatto crescente nelle imprese, nelle organizzazioni, nella vita di ognuno di noi e nessuno può considerarsi indenne dal processo in corso. 

Non solo ma in molte realtà occidentali, con le quali le imprese italiane si confrontano quotidianamente, il tradizionale ciclo che caratterizzava la vita delle persone ( educazione/formazione, lavoro full time, pensionamento ) si sta modificando per far posto (anche per ragioni demografiche e per insostenibilità di regimi pensionistici troppo generosi) a modelli che vedono alternanza di periodi di lavoro full time con periodi di lavori part time, con periodi sempre più frequenti di aggiornamento e di reskilling per evitare una rapida obsolescenza e marginalizzazione. Si stanno sviluppando anche in Italia esempi virtuosi di imprese e di distretti che hanno cominciato, anche per far fronte ad una penuria crescente di risorse specializzate, a sperimentare soluzioni di long life learning ma sono ancora, purtroppo, realtà minoritarie. Non esiste una chiara e diffusa consapevolezza della criticità del mismatch crescente fra le esigenze delle imprese e la qualità delle risorse disponibili. 

A questo proposito occorre anche rilevare la negativa incidenza esercitata dall’endemico orientamento al breve periodo. Si preferisce concentrarsi, ed indirizzare conseguentemente le risorse, sulle esigenze dell’oggi piuttosto che investire ed affrontare piani di sviluppo, non solo del prodotto e dei processi ma anche delle persone che sul prodotto e sui processi sono impegnati. Più prosaicamente si preferisce la scorciatoia di reperire le risorse sul mercato esterno piuttosto che prepararle dall’interno per renderle capaci di saper corrispondere alle nuove esigenze organizzative ed alle opportunità delle crescenti applicazioni dell’intelligenza artificiale che devono essere viste come straordinarie opportunità per ampliare le competenze umane.

Tali imprese rischiano però di perdere competitività perché nel medio -lungo termine non potranno reggere la concorrenza con le imprese lungimiranti capaci di offrire learning opportunities o comunque saranno costrette a sobbarcarsi di ulteriori costi per riuscire a diventare attrattive. Non basta riconoscere nei convegni e negli articoli la necessità della formazione ma occorre saper affrontare la sfida di un intervento sistematico che supporti la crescita delle persone e delle stesse imprese. Sarebbe poi auspicabile che il tutto si sviluppasse secondo un’accorta regia propulsiva delle Regioni e dello Stato per creare un approccio sistemico anziché limitarsi ad interventi non coordinati e di sapore assistenzialistico ma si rischia di entrare nel campo delle buone intenzioni.