Imparare a surfare sulle onde della “permacrisi”
di Antonio Angioni
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Negli ultimi anni le variabili che un imprenditore è chiamato a considerare si sono triplicate. La parola rischio è onnipresente, spesso accompagnata da un senso di frustrazione per politiche pubbliche poco attente a sostenere il settore manifatturiero. Per questo bisogna aggiornare il proprio modello operativo, rivedendo obiettivi e priorità – sia nella gestione del tempo che delle energie personali – e stimolando una partecipazione fattiva e convinta da parte dei collaboratori alle nuove strategie.
Non esiste un’immagine più adatta del surfista che solca onde gigantesche per sintetizzare sia la complessità del contesto e del momento storico che stiamo vivendo, sia le particolari skill richieste per gestire un’impresa oggi. Non siamo di fronte ad una fase ciclica, come si verificava nel secolo scorso, caratterizzata da un trend che alternava fasi espansive con fasi recessive con una cadenza che conobbe un’accelerazione solo negli ultimi anni. In questo primo quarto del nuovo secolo abbiamo assistito, e ci stiamo abituando, ad un susseguirsi repentino di eventi critici, spesso in sovrapposizione, a tal punto che nel 2022 il dizionario inglese Collins ha introdotto un nuovo sostantivo, “permacrisis”, con il quale si intende fare riferimento, appunto, ad una situazione di permanente instabilità.
Permacrisis non è diventata solo la parola dell’anno del 2022, ma ha finito per entrare nell’uso corrente. Trend demografici e sociali, scarsità delle risorse, costi dell’energia, cambiamenti macroeconomici, transizione energetica, epidemie, disastri ambientali, crisi della globalizzazione, tensioni geopolitiche, sviluppo impetuoso della digitalizzazione. L’elenco potrebbe continuare, ma è sufficiente per avere un’idea di come sia divenuto complesso poter definire una strategia di impresa.
Secondo una recente ricerca, le variabili che un imprenditore è chiamato a considerare si sono triplicate negli ultimi anni; da qui la scelta dell’immagine iniziale di questa riflessione costruita raccogliendo le esperienze sul campo, a fianco delle aziende clienti. Le molteplici domande che giornalmente un imprenditore si pone sono riconducibili a due dimensioni fondamentali: comprendere la genesi e cogliere le interrelazioni degli eventi e dei trend per aggiornare la strategia.
Per certi versi non c’è nulla di nuovo. Per chi ha scelto di fare impresa si tratta di un esercizio quotidiano, ma nella relazione continua con gli imprenditori e con gli executive stiamo avvertendo da tempo un misto di tensione e frustrazione. Tensione per l’elevata volatilità che si traduce a livello terminologico in un continuo utilizzo della parola rischio; frustrazione nel constatare come i trend negativi della produzione industriale, segnalati puntualmente dal Centro Studi Confindustria, cadano nel vuoto, visto che le istituzioni preferiscono compiacersi della crescita dell’occupazione che si registra nel settore dei servizi con la creazione di un lavoro povero, e continuare a cullarsi nel fatto che siamo sempre la seconda manifattura dell’Europa, dimenticando che il problema non è arrivare in certe posizioni ma mantenerle.
Nei progetti di riposizionamento strategico che stiamo seguendo è ricorrente il tema della volatilità, di come cogliere opportunità nell’incertezza, di come trasformare velocemente idee in programmi e in prodotti. Sul piano metodologico, preferiamo prendere le mosse dalle convinzioni dell’imprenditore o dell’executive, partire cioè dalle assumptions di base (what we think) per poi approfondire quali iniziative sviluppare e come realizzarle (how we do).
Senza nessuna presunzione ci sentiamo di affermare che risultano resilienti, e quindi maggiormente capaci di cogliere le sfide del tempo presente, gli imprenditori “ambidestri”. Essere ambidestri significa possedere la capacità di gestire contemporaneamente attività e strategie che richiedono approcci diversi, saper dosare e alternare la propensione al rischio. Mentre non si può imparare la leadership, ma la si può sviluppare a condizione che se ne abbiano gli elementi costitutivi nel proprio dna, si può, invece, imparare a diventare ambidestri.
Si tratta di costruire una sorta di personale operating model attraverso un itinerario che, in base alla nostra esperienza, deve implicare una revisione delle priorità, del ruolo, della gestione del tempo e delle energie personali per acquisire quella flessibilità indispensabile per conciliare l’orientamento presente con la prospettiva futura, per acquisire la capacità di imparare sempre (learning agility), per esplorare e valutare le potenzialità del mercato e l’affidabilità degli strumenti disponibili, per saper coniugare e conciliare aspetti a prima vista contrastanti (utilizzando una sorta di paradox navigator che abbiamo predisposto), per accelerare la crescita e ottimizzare le operatività del business, e, in ultima analisi, per definire la strategia che altro non è che la creazione del valore.
Nella fase successiva occorre affrontare il tema della messa a terra della strategia (execution strategy), che richiede di definire obiettivi trasparenti, ambiziosi, riassumibili nell’acronimo Smart (specific, measurable, achievable, reasonable, time based), sui quali coinvolgere i collaboratori, spronarli e assicurarsi da parte loro adeguate performance. Non solo, ma per realizzare una veloce execution strategy si rende necessario poter contare su un allineamento convinto delle funzioni aziendali e di tutti i collaboratori.
Non è semplice realizzare in tempi ristretti tale allineamento, perché si tratta di intervenire per aggiornare la purpose (la mission e la vision), i valori (chi siamo e cosa crediamo) e la brand identity (quanto promesso al mercato e ai clienti), aggiornamento reso difficoltoso dall’inerzia, dalla resistenza al cambiamento.
Il livello di incertezza e di volatilità richiede, in base alla nostra esperienza, di intervenire per:
- ridurre le apprensioni cercando di creare un contesto positivo, orientato a trasformare le minacce in opportunità (to tame apprehensions);
- immaginare e anticipare il futuro (envision the future);
- stimolare la collaborazione per condividere e mettere a fattor comune competenze, dati, processi (collaborate frequently);
- incoraggiare e sperimentare nuove idee e soluzioni per ridurre, se non eliminare, la sindrome SFC, ovvero del “si è sempre fatto così” (experiment nimbly).
Dopo queste considerazioni può sembrare forse più comprensibile la scelta dell’immagine del surf con la quale abbiamo iniziato questo contributo che desideriamo completare precisando, senza cadere nella codificazione dell’ovvio, che oggi come ieri gestire un’azienda richiede soprattutto coraggio e capacità di una pianificazione continua. Il presidente degli Stati Uniti Dwight D. Eisenhower soleva dire che i piani sono inutili ma la pianificazione è tutto (Plans are nothing, planning is everything!).
Puoi leggere l’articolo su “L’imprenditore”.
13 febbraio 2025 – L’imprenditore