Execution

di Antonio Angioni

Un tema che è emerso prepotentemente nei resoconti dei CEO presenti al recente summit di Davos è stato quello dell’execution. La capacità di saper identificare l’how, l’who, il when ed il why del business, sapendo declinare velocemente, viene considerata una soft skill critica, rilevante sia da un punto di vista strategico che operativo, indipendentemente dai segmenti di mercato in cui si opera.

 

Potrà sembrare paradossale ma sempre di più la competizione si gioca oggi sul livello di execution di una strategia.

Non si tratta della capacità di realizzare un piano o di gestire attraverso la logica del project management, bensì di un approccio complessivo che investe l’organizzazione, la cultura, le operations, la tecnologia applicata, le risorse umane. In un contesto globale, interconnesso, altamente competitivo come quello attuale, non è più valida la regola “once and done” ma si viene continuamente sollecitati ad un continuo riposizionamento.

Quattro sono le dimensioni sulle quali occorre concentrarsi per riuscire a realizzare un elevato grado di execution: l’Alignement, l’Ability, l’Architecture, l’Agility. Non siamo di fronte a categorie nuove perché da tempo le imprese le hanno affrontate per migliorare le loro perfomances, seguendo i più disparati modelli ma la novità sta nel framework che deve essere colto e sviluppato fra queste categorie, nel cogliere l’interconnessione, i fattori critici e le aree di miglioramento, nella consapevolezza che il successo dell’execution deriva da questo approccio complessivo. Un limite che spesso riscontriamo nelle aziende nostre clienti, anche in quelle che hanno realizzato ragguardevoli successi, è rappresentato, infatti, dall’aver operato solo in qualcuna di queste dimensioni ma non in tutte e, in particolare, di non aver dato continuità al processo ma di essersi limitati ai primi risultati senza rimettersi in discussione. Da un punto di vista metodologico si tratta di avviare un processo di assessment, articolato in tre step, di ciascuna di queste dimensioni, finalizzato in prima istanza a: rimettere in discussione i risultati raggiunti ed il business model, verificare le modalità seguite, misurare il livello di coinvolgimento e di condivisione nonché la reattività dell’organizzazione. Successivamente per ognuna delle quattro dimensioni dovranno essere analizzate le aree critiche, le barriere createsi nel frattempo, le opportunità perse, i conseguenti costi spesso nascosti o non adeguatamente percepiti. Nella fase finale vengono definite le aeree nelle quali pianificare gli interventi in funzione delle priorità accertate.

Non si tratta di un’indagine di clima o di una nuova versione del continuous improvement ma di un metodo che assicura al termine la disponibilità di un “Execution capability profile” o se si preferisce di una bussola attraverso la quale monitorare l’evoluzione complessiva del business. Purtroppo verifichiamo spesso la tendenza a concentrarsi subito sull’action plan mentre questo metodo richiede tempo per un’attenta riflessione, per rielaborare poi un’adeguata execution. Capita spesso che una volta percepito un problema il leader deleghi la soluzione mentre invece a nostro avviso il leader deve mantenere la gestione ed il controllo dell’execution, organizzando su base periodica una sorta di feedback loops. Un impegno continuativo che richiede anche l’adozione ed il rispetto della disciplina. L’esperienza realizzata in alcune realtà, ci porta a suggerire di condividere un percorso che faciliti i managers nello scegliere e fare proprio il metodo perché questo riduce i tempi di attuazione ed il tempo era, è e sarà sempre una variabile estremamente critica.

6 febbraio 2020 – Business International