Le implicazioni di una svolta etica nel business

Published date: 8 September 2019 12:00 AM
Ultima modifica: 8 October 2019 12:00 AM
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La quiete agostana è stata scossa dal documento di Business Roundtable siglato da 180 CEO, per una doverosa lettura del quale rinviamo al link (https://opportunity.businessroundtable.org/ourcommitment/). Tale iniziativa ha suscitato una vasta eco ed ha il merito di aver accelerato riflessioni, dibattiti, confronti avviati, a dire il vero, già da tempo. Grazie, infatti, ai contributi di N.Piketty, J.E.Stiglitz , F. Fukuyama, Papa Francesco ( con l’enciclica Laudato sii) ci si sta interrogando se il business model adottato nel XX secolo non debba essere rivisto; business model di cui la devastante crisi del 2007 ha indubbiamente contribuito a metterne in evidenza i limiti ed pesanti squilibri.

Non è nostra intenzione entrare nel merito alla scelta dei tempi ed alle reali intenzioni dei promotori della dichiarazione di Business Roundtable, in particolar modo sulla scelta dei tempi per la quale alcuni dei nostri referenti in US ci hanno messo a parte di perplessità legate a questioni interne di politica economica americana. Riteniamo più utile domandarci quali implicazioni possano emergere per le imprese e per i manager, in particolare se la teoria lanciata da Friedman nel 1970 dello sharesholder value , sulla quale si sono formati intere generazioni di imprenditori e di manager, e che tanto ha contribuito ad influenzare lo short-termism ,non abbia esaurito la sua forza propulsiva.

Cominciamo intanto col ricordare che da alcuni anni la teoria liberista di Friedman era stata diversamente declinata in molte aziende con l’introduzione della Service profit chain (soddisfazione dei collaboratori = impegno =soddisfazione dei clienti = fidelizzazione dei clienti = profitto) e di forme di CSR sempre più autenticamente orientate ai fabbisogni dei contesti. Non solo ma nella lista di Fortune delle "100 best companies to work for", le aziende con maggiore attenzione al capitale umano hanno sempre mostrato, negli ultimi anni, una redditività superiore alle altre aziende quotate al NYSE.

Oggi viene proposto, però, un cambio di paradigma molto impegnativo. Per evitare, infatti, che il tutto si esaurisca in una semplice dichiarazione di intenti, occorre che tale paradigma venga declinato con tangibili cambiamenti in tema di strategie aziendali, con particolare riferimento a: il rispetto per l’ambiente, il rispetto per le persone, la riduzione delle diseguaglianze interne ed esterne all’impresa. Non bisogna dimenticare un convitato di pietra ossia lo Stato, chiamato comunque ad assicurare un ruolo di promozione e vigilanza sulla res pubblica .

Rimanendo però nell’ambito di nostra competenza, ossia l’impresa, è nostra convinzione che alcune scelte possano e debbano essere operate già nell’immediato. Partiamo, per esempio, dai sistemi di remunerazione sin qui adottati, in alcuni casi le retribuzioni percepite a livelli apicali sono sproporzionate rispetto al resto della popolazione aziendale e gli stessi sistemi incentivanti sono ancora influenzati dallo short-termism. Ben lungi da impostazioni collettivistiche, riteniamo che si possano ridurre progressivamente certi gap salariali, impostare programmi retributivi che attirino e trattengano i giovani e premino le competenze. Per quel che concerne i sistemi incentivanti, si dovrebbe intervenire per orientarli su lassi temporali ulteriori l’anno fiscale, proprio per favorire un impegno proiettato nel tempo nel produrre valore, lavoro, stabilità della stessa impresa, oltre che una remunerazione per il capitale investito.

Considerando poi il poco invidiabile trend demografico del nostro paese, diventa improcrastinabile, per evitare nel giro di pochi anni una paralisi del sistema produttivo, rivoluzionare la gestione delle risorse, cercando di valutare non solo le competenze acquisite nel tempo ma anche quelle che potenzialmente potrebbero essere acquisite, trasformando così le imprese in aziende skills-based . Al di là di certe riforme pensionistiche dettate da miopi ed iniqui calcoli elettoralistici (destinate a rivelare presto non solo l’insostenibilità economica ma anche la pericolosità sociale), è possibile oggi, grazie anche all’avvento delle nuove tecnologie, disegnare percorsi di sviluppo delle competenze nei quali ingaggiare anche quelle persone, spesso marginalizzate, perché stanche e demotivate anche dalla mancanza di investimenti nei loro confronti.

C’è il tema poi della partecipazione dei collaboratori, del così detto "capitalismo inclusivo" anticipato in Italia da Adriano Olivetti, in merito al quale c’è sempre stata una certa idiosincrasia da parte di molti imprenditori, anche se poi nella realtà si tratta, in base alla nostra esperienza ed alla frequentazione assidua con gli imprenditori, di un’avversione più terminologica che reale, visto che in molte delle loro imprese, questo sta diventando una realtà. Non ci riferiamo solo ai sistemi di welfare ma anche a certi accordi che premiano la collaborazione ed il contributo per il raggiungimento dei target aziendali.

L’Italia, per la caratteristica delle imprese e del sistema produttivo, può, nonostante gli endemici problemi e le ricorrenti contraddizioni, recuperare un ruolo guida perché nelle piccole e medie imprese certi programmi sono più facili da realizzare che nelle grandi corporation, grazie alla presenza fisica ed alla testimonianza quotidiana dell’imprenditore e/o della famiglia, anche se spesso emergono alcune difficoltà relative la leadership e la governance.

Rimane la curiosità di vedere quali saranno gli sviluppi e soprattutto le politiche che saranno adottate da 180 CEO che hanno firmato la dichiarazione di Business Roundtable , se alle parole seguiranno i fatti . Sino ad oggi la cronaca non sembra registrare ancora eclatanti novità, visto che si preferisce in certi casi perseguire ancora politiche di disinvestimento piuttosto che operare scelte, indubbiamente più costose, ma coerenti con tale dichiarazione.

Così come non si elimina la povertà per decreto, è vero anche che non si può cambiare la cultura per decreto ma occorrono quella vision e quella leadsership che hanno solo gli imprenditori autentici.

a cura di

Antonio Angioni

Senior Partner

Poliedros Management Consulting