Dalle parole ai fatti
di Antonio Angioni
Anche se il primo trimestre ha fatto registrare un rallentamento, gli indicatori economici generali confermano che in molti settori le imprese stanno tornando a realizzare, se non in certi casi a superare, i risultati del periodo pre-crisi e, nonostante l’incertezza dell’attuale quadro politico, lo stesso FMI ha rialzato le stime di previsione del PIL del corrente anno a + 1,5% (anche se inferiore al 3,9% mondiale, elemento già questo che dovrebbe far riflettere).
Ma se i numeri stanno tornando ad essere quelli di un tempo, il contesto è profondamente cambiato e la lunga recessione ha messo in evidenza le endemiche difficoltà, le fragilità e le contraddizioni del nostro sistema. In alcuni casi si sta superando il livello di guardia, stiamo per entrare in una fase di emergenza di cui dobbiamo prendere consapevolezza, per passare poi dalle parole ai fatti. Prendiamo per esempio due dati che non hanno, forse, attirato la dovuta attenzione ma che sono drammatici per il futuro delle imprese e in generale del nostro Paese:
- nei prossimi anni, come ha denunciato di recente il Vice-Presidente di Confindustria, mancheranno 280.000 tecnici senza i quali le imprese non potranno affrontare la competizione nell’era digitale;
- nel 2028 (entro quindi 10 anni e non entro 50!!!) secondo le stime della Fondazione Agnelli l’Italia perderà un milione di studenti con un esubero di 55.000 insegnanti.
Volendo prescindere dall’ ennesima analisi sulla natura e sulle cause, credo sia più utile riflettere come attivarsi per cominciare a dare risposte adeguate. In più di un’occasione si torna a declinare il principio della responsabilità sociale dell’impresa ma se si vuole evitare il rischio di farne uno slogan autoreferenziale ed assolutorio, sarebbe forse più utile che le imprese ed i manager cercassero di attivare un confronto ed un rapporto con il mondo della scuola.
Un confronto che si rivelerebbe importante non solo per gli alunni e le loro famiglie per capire le reali esigenze delle aziende ed anche le concrete opportunità di lavoro ( l’82% di quanti frequentano gli istituti tecnici riescono ad inserirsi nel mondo del lavoro ) ma anche per i professori per superare la diffidenza verso il mondo delle imprese, per finalizzare l’insegnamento delle materie, favorire l’interesse verso le materie STEM, per recuperare una riconoscibilità sociale persa da anni.
Dialogo, confronto che non si possono esaurire in occasione delle sperimentazioni del programma Scuola Lavoro ma che da queste devono trarre spunto per diventare permanenti. Impegno questo che può essere affrontato anche dalle imprese di piccole dimensioni che possono avvalersi delle organizzazioni di categoria e cogliere l’opportunità di fare sistema.
Dedicare una parte del proprio tempo e delle proprie energie alla scuola non è solo un modo per contribuire ad investire nel “capitale umano” necessario nei prossimi anni ma rappresenta un’opportunità per cominciare a ridurre gli squilibri e le diseguaglianze attuali che si creano già nelle aule scolastiche e che rischiano di minare lo sviluppo del paese.
Questo comporta anche passare da una logica di short term ad una logica di medium term, pensare non solo alle esigenze attuali dell’impresa ma anche a quelle del futuro, dedicare meno tempo a criticare i gap e le mancate risposte del sistema ed adottare un comportamento da “civil servant”, colmare i vuoti con iniziative di cui il ritorno non è immediato ma non per questo meno importante, spendere meno tempo nei convegni e dedicarlo invece a disegnare ed animare percorsi capaci di creare un rapporto di osmosi fra le imprese e la scuola.
Passare appunto dalle parole ai fatti.
5 maggio 2018 – HR Directors Monthly – Business Interational