Come governare l'incertezza
di Antonio Angioni
Consapevoli che nulla sarà più come prima, gli imprenditori cominciano a interrogarsi sui nuovi fabbisogni dei clienti, le risposte da offrire e i possibili competitor. Una volta deciso quando e come cambiare, entra in gioco l’execution. Un paio di suggerimenti per aumentare le probabilità di successo
Il 2021 si apre all’insegna dell’incertezza e di un elevato livello di volatilità, che coinvolge molte economie dell’Occidente; incertezza e volatilità che la distribuzione delle prime forme di vaccino, per contenere e debellare il Covid-19, non ha ancora contribuito a ridurre e dissipare, creando solo una certa euforia nelle borse che hanno confermato, nei dati delle ultime sessioni del 2020, il divorzio fra economia reale ed economia finanziaria.
Gli stessi, recenti contributi di alcuni autorevoli economisti (da N. Roubini a C.M. Reinhart, a Stiglitz) non sono concordi in merito ai trend, ai tempi e, soprattutto, alle modalità della ripresa (a V o a W a K?), mentre le percentuali di recupero del Pil e dei livelli pre-Covid, per quel che riguarda l’Italia, sono sempre più posticipate nel tempo: dal 2023 siamo già arrivati al 2025!
Un solo dato sembra riscuotere, per quel che riguarda il nostro Paese, l’unanimità: siamo scivolati nelle stesse condizioni economiche del 1997, bruciando quanto, anche se modesto rispetto ad altri paesi membri dell’Ue, era stato realizzato nel corso di questi 23 anni, che hanno visto peraltro le imprese dover far fronte anche alla crisi del 2008-2009.
Verso un nuovo equilibrio
Il confronto e il lavoro con le aziende ci porta, però, a segnalare alcuni “timidi refoli” che speriamo possano presto trasformarsi in “venti consistenti” capaci di rompere e dissolvere quella perniciosa sospensione nel tempo che sembra caratterizzare il Paese, drogato dalla bonus economy (vedasi il 54° rapporto del Censis) e sospeso nell’attesa messianica del Recovery fund.
Stiamo raccogliendo, infatti, tutta una serie di comportamenti e di segnali che ci portano ad azzardare una prima conclusione: ossia che in alcuni settori del manifatturiero si stia cominciando a metabolizzare l’eccezionalità e a trasformarla nella quotidianità. Negli ultimi mesi del 2020 abbiamo partecipato e contribuito a numerose sessioni di strategia e di budget in occasione delle quali sono state definitivamente archiviate le sofisticate matrici della GE/McKinsey o della BCG Grow-share che per anni hanno rappresentato la bussola per orientarsi nel mercato.
Sono state formule utili in contesti stabili, ma non lo sono in quelli attuali nei quali la strategia vincente è costituita dalla vigilanza e dalla adattabilità.
La vigilanza implica, innanzitutto, la capacità di cogliere e di leggere i segnali per saper prevenire i trend prima che questi si consolidino. Una componente tutt’altro che nuova, dal momento che contraddistingue da sempre chi accetta il rischio di impresa ma che nei primi mesi della pandemia è stata messa a dura prova sia per la molteplicità che per la contraddittorietà dei messaggi. Non solo ma nella fase iniziale molti si erano convinti di trovarsi di fronte ad un fenomeno eccezionale, una volta superato il quale sarebbe stato inevitabile il ritorno alla normalità, per cui la vera incognita da risolvere era solo il tempo del ritorno allo status quo ante. Una prospettiva che il decorso dei mesi ha finito per sgretolare, rendendo solo patetico il motto “tutto tornerà come prima” perché così non è e non sarà.
“Il dubbio non è piacevole ma la certezza è ridicola”
Siamo ancora in una fase turbolenta ma, come tempo preconizzò già nel 1980 P.F. Drucker (cfr. “Managing in Turbulent Times”, New York, Harper & Row), la turbolenza “per definizione è irregolare, non lineare, erratica (…) ma le cause sottostanti possono essere analizzate, previste, gestite”. Chi non si è fatto prendere dallo sgomento ha accettato di lasciare le rassicuranti certezze e di affrontare un percorso impegnativo, sperimentando sulla propria pelle quanto diceva Voltaire per il quale “il dubbio non è piacevole ma la certezza è ridicola”.
Stiamo affiancando diversi imprenditori che hanno iniziato a cercare e ad analizzare, prendendo le mosse dalle lezioni provenienti da quanto realizzato nel passato, dai bisogni del presente per poi passare alle domande relative al futuro: come stanno cambiando i clienti? Quali saranno i loro fabbisogni in un contesto diverso? Come poter soddisfare questi nuovi fabbisogni? Quali saranno i competitor? Quali applicazioni tecnologiche possono essere utilizzate per facilitare il passaggio da un approccio product-focused innovation ad un process-focused innovation?
Potenziali, nuovi business model stanno emergendo grazie all’utilizzo di soluzioni tecnologiche già esistenti ma mai applicate in certe forme o in determinati settori. Un percorso complesso nel quale oltre ai clienti devono essere considerati per il contributo che possono garantire i collaboratori, i partner (fornitori e distributori), gli eventuali investitori, i segmenti di mercato presenti e potenziali.
Tre scenari. Nessuno è indolore
Al termine di questo percorso si possono delineare tre scenari: consolidare il business, re-inventare il business o disinvestire per cambiare il campo di operatività al fine di entrare in altri settori. Ciascuno di questi scenari non è indolore perché comporta, nelle realtà che stiamo seguendo, ulteriori complessità dal momento che impone di rivedere il processo produttivo, di ridurre i tempi di risposta rispetto alle richieste dei clienti, di trasferire il rischio sulla value chain magari sostituendo, con l’applicazione di IoT, il modello pure sell con quello del pay-per-use. Senza dimenticare che queste riflessioni influiscono sulla pianificazione e sul budget in corso di stesura e di validazione in queste settimane, rendendoli più complessi.
Non è facile poter creare formule ad hoc ma quello che ci sentiamo di suggerire nella gestione di questi processi di revamping del business è saper soppesare e collocare in una scala, che va da una bassa incertezza ad un’incertezza elevata, le diverse opzioni strategiche al fine di cogliere tutte le implicazioni, valutare i rischi, decidere tempi e modi di realizzazione. D’altro canto, capire e decidere quando e come cambiare è l’essenza della strategia imprenditoriale e permette di conseguire il vantaggio competitivo.
Ma il tutto non si esaurisce nel capire e decidere come e quando cambiare, perché poi la strategia va realizzata e quella dell’execution, sulla quale abbiamo sviluppato una metodologia particolare, rischia di diventare una fase complessa.
Due elementi indispensabili: velocità di reazione e flessibilità esecutiva
La gestione del cambiamento, in un contesto dominato da un elevato livello di incertezza e volatilità, richiede infatti un approccio che possa generare nell’organizzazione velocità di reazione (speed) e flessibilità esecutiva (agility). Queste due componenti sono interdipendenti ma, contrariamente a quanto si possa immaginare, non sono in funzione inversamente proporzionale alle dimensioni aziendali, in base alla nostra esperienza, infatti, non sempre la piccola e media dimensione sono di aiuto.
La velocità di reazione dipende da tre componenti: la capacità di riconoscere e condividere le opportunità e le minacce (recognition speed), la capacità di decidere conseguentemente (decision speed) e la capacità di mobilitare e gestire risorse, persone, processi per realizzare gli obiettivi (execution speed).
La flessibilità esecutiva dipende a sua volta da: la disponibilità al cambiamento (alertness), la reattività (response time), la capacità di concretezza (configuration). Anche nelle aziende piccole e medie registriamo come l’imprenditore abbia spesso difficoltà, una volta che abbia deciso le opzioni strategiche da realizzare, a superare l’inerzia, a declinare velocità di reazione e flessibilità esecutiva.
Comunicare, spiegare, rassicurare
La nostra esperienza ci porta a richiamare l’attenzione sull’importanza della resilienza, che influisce sul clima e sul livello di engagement e di risposta delle persone. Per ruolo e per missione l’imprenditore è chiamato ad essere sempre avanti rispetto agli altri, ma anche a testimoniare e spiegare questa sua lungimiranza (vivid foresight).
I collaboratori non richiedono di conoscere il futuro ma hanno bisogno, soprattutto in questi periodi, di capire le ragioni di certe scelte, di essere rassicurati per offrire il massimo contributo. Non solo, i collaboratori non si aspettano grandi annunci ma hanno bisogno di essere rassicurati dall’impegno personale dello stesso imprenditore anche nelle piccole scelte quotidiane (visible follow-through).
Questi elementi generano un contesto, un mind-set resiliente e la resilienza, unitamente al coraggio, sono necessari per gestire in maniera innovativa questa fase di turbolenza. Sempre nel saggio sopra menzionato, P.F. Drucker osservava che “il pericolo maggiore in tempi di turbolenza non è la turbolenza in sé ma agire con la logica di ieri”.
19 gennaio 2021 – L’Imprenditore