Business model, come capire se funziona

di Antonio Angioni

Sono tanti gli elementi che lo compongono e che vanno scandagliati in profondità quando si verifica un gap tra strategia ed execution. Alla base di tutto restano i processi, nei quali entrano in gioco alcune variabili come i volumi, la varietà, la variabilità e la visibilità. Alcuni suggerimenti per orientarsi.


Parliamo di: cultura d’impresa e management


Dopo l’Alignment e l’Ability, che abbiamo visto nei precedenti contributi, passiamo ora a riflettere sulla dimensione che concerne il modello organizzativo, il business model adottato ossia: l’Architecture. Si fa riferimento al complesso dell’infrastruttura, dei processi, delle tecnologie adottate, dei controlli che costituiscono il fondamento dell’impresa e non può stupire che sia percepito come essenziale dal momento che influisce sul vantaggio competitivo e rappresenti una delle principali preoccupazioni degli imprenditori con i quali ci confrontiamo.

La complessità del contesto geopolitico, la ridefinizione del perimetro della globalizzazione e la conseguente riconfigurazione su basi regionali della supply chain, le nuove applicazioni tecnologiche, la customer experience, la ridefinizione dell’organizzazione del lavoro, solo per citarne alcuni, sono fattori che hanno un impatto sulla strategia e sugli elementi costitutivi del business model. Se esiste una sincronizzazione fluida di questi elementi, i risultati possono solo migliorare; se invece risulta problematica, alle difficoltà nel raggiungere i risultati si aggiungono le criticità gestionali con un’inevitabile lievitazione dei costi e riduzione dei margini.

Allorquando si riscontra un significativo gap fra la strategia e l’execution urge attivare una seria diagnosi che non si limiti a rilevare l’esistente ma rimetta in discussione non tanto la mission, la vision, i valori ma sia finalizzata a verificare il perimetro, le aree di crescita, le leve che creano valore, le priorità espresse dai clienti, le competenze critiche, le eventuali modifiche dei processi decisionali, il rapporto fra costi e profittabilità, i target.

In un secondo tempo, in funzione dei risultati emersi, occorre passare a verificare gli elementi costitutivi del business model ossia: la struttura (con le soluzioni gestionali adottate), le responsabilità (con i ruoli e le attribuzioni relative le linee di business e la gestione del Profit and loss), la governance (con i processi adottati per identificare le priorità e assumere le decisioni), le modalità di lavoro (con le regole che sono alla base dei flussi produttivi), le competenze con le modalità con le quali l’impresa combina persone, processi e tecnologie.

Diverse possono essere le conclusioni alle quali giungere attraverso questo processo di analisi e di revisione e non sarebbe corretto enucleare vere e proprie regole. Si possono però, sulla base delle esperienze realizzate, ipotizzare alcune direttrici.

In alcuni casi si è resa necessaria, dopo aver chiarito le modalità attraverso le quali l’impresa crea valore, una rilocalizzazione dei siti produttivi per ridurre la dipendenza da fornitori meno affidabili. In altri casi, ricollegabili al settore dei servizi, è stata rivista, rifacendosi alle priorità dei clienti, la centralizzazione precedentemente realizzata che si era rilevata penalizzante per gli stessi clienti a causa della riduzione della frontline activity. Mentre una revisione delle responsabilità, come nel caso di una catena distributiva, ha reso più rapidi i processi e le risposte per i clienti.

Non è semplice, nonostante la disponibilità di soluzioni tecnologiche predittive, riuscire a comprendere i bisogni dei clienti. Spesso ci avvaliamo della Kano analysis per classificare le aspettative dei clienti in determinate categorie e indirizzare poi le attività di miglioramento del prodotto/servizio.

Senza entrare nel dettaglio per motivi di spazio, ci si limita a precisare come l’adozione di questo strumento di analisi permetta di verificare non solo la presenza di attributi essenziali (“must be”) ma di reperire anche elementi di diversificazione (“one dimensional”) in grado di aumentare la competitività del prodotto/servizio e di reperire anche attributi (attractive) in grado di facilitare la scelta finale del cliente.

Entrare nei processi implica doversi confrontare con alcune variabili quali: volumi, varietà, variabilità, visibilità. Di ognuna di queste variabili è necessario considerare le implicazioni.

  • I processi che comportano elevati volumi di output hanno un alto grado di ripetibilità con una conseguente esigenza di specializzazione e sistematizzazione che consentono standardizzazione ed efficienza;
  • I processi che generano una grande varietà di prodotti e servizi devono essere in grado di garantire un’ampia gamma di attività eterogenee, con costi più alti rispetto ai processi a bassa varietà;
  • I processi con una domanda prevedibilmente costante sono facili da gestire rispetto ai processi con una domanda variabile e imprevedibile che richiede un’allocazione tempestiva delle risorse;
  • I processi a bassa visibilità non richiedono la relazione con il cliente, sono labour intensive e hanno bassi costi unitari;
  • I processi ad alta visibilità invece richiedono una relazione con il cliente, hanno alti costi unitari.

Adottare questa analisi permette un riposizionamento e l’adozione di una roadmap con la quale ridurre il gap fra strategia ed execution, rivedere le priorità, migliorare le performance decidendo le modalità. Sul piano metodologico si tratta infatti di scegliere considerando i trade-off che esistono fra gli obiettivi di performance e identificare la soluzione migliore per superarli. Proprio sulla scorta dei risultati conseguiti laddove abbiamo garantito il supporto nella gestione di questo approccio, occorre ricordare come sia necessario:

  • operare gradualmente (i cambiamenti repentini sono spesso forieri di risultati negativi);
  • predisporre strutture e sviluppare competenze funzionali al riposizionamento;
  • confrontarsi senza preclusioni con tutte le possibili variabili e opportunità;
  • assicurarsi il consenso attraverso il coinvolgimento delle persone.

Il più grosso pericolo nei tempi di turbolenza, ricordava P. Drucker, non è la turbolenza in sé ma agire con la logica del passato.

23 ottobre 2023 – L’Imprenditore